Sono la nostra sveglia al mattino, magari “canticchiante”
il primo giorno di primavera mentre spalanca il balcone, sono la precisione di
un orologio svizzero quando fanno da promemoria alla nostra “to-do-list” , sono
le tre domande più frequenti da quando sei al mondo: “hai mangiato? Che fai, esci?
Mica torni tardi?”, sono quel “si” che ci viene detto nonostante tutto perché ahinoi
l’epoca dei no è passata già qualche tempo fa, sono quelle che ci hanno
insegnato a essere curiosa, a girare le città e la frittata in
padella, ad avere l’occhio per i particolari e a scegliere le nuance del trucco
che più ci dona.
Quelle che ci hanno portato in giro in qualunque
posto del mondo attaccate alla cintola, che ci hanno insegnato a capire il
verso in cui devi prendere la metro e che ci hanno abituato al gusto del caffè
e dello smalto rosso, che ci hanno insegnato la costruzione con giocattoli di
legno e che hanno voluto sapessimo l’Inglese prima ancora dell’Italiano.
Quelle che “chiedilo a tua nonna che io ste cose
non me le ricordo” quando avevamo un dubbio di grammatica o la versione di latino
ci sembrava una montagna imprendibile, che dopo trent’anni che ci conoscono
ancora non ricordano che noi quella cosa lì proprio non la mangiamo, che si
meravigliano quando qualcuno si complimenta, perché la nostra normalità è solo
una parte del nostro dovere di certo non un facile vanto.
Quelle che c’hanno portato al mare per mesi interi
e che per tutta la durata ci sono corse dietro con la crema solare, che ci
pettinavano al mattino prima di scuola e, nodi a parte, riuscivano a ottenere
una treccia resistente a cinque ore di apprendimento, che amano i fiori e hanno
la casa piena, che ci hanno insegnato il pregio del colore e l’eleganza del sobrio,
che hanno lasciato che noi prendessimo le loro perle e che ci hanno permesso di
giocare alle “signore” da bambine coi loro tacchi, che ci ricordano da chi
abbiamo preso quando si preoccupano su come andiamo vestite.
Quelle che in fondo si fidano dei nostri pensieri
e senza vergogna chiedono consiglio, che sentono la pancia tirare all’altezza
dell’ombelico se c’è qualcosa che non va, che sostengono i nostri umori, le
nostre paure, le nostre speranze. Sempre.
Così, ai tratti del mio viso e al mio sorriso,
alle mie passioni trasferite da DNA, al modo di gesticolare, all’affabilità che
mi contraddistingue, all’amore per tutto ciò che è vita, oggi preparo un dolce,
prendo un fiore e dito tanti auguri.
Perché come direbbe lei: Mothers are beautiful.
Ed io, amo la mia.
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